FRASI SUGLI ZAMPOGNARI

La mia esperienza umana come zampognaro è un capitolo a parte. Ne scriverò un libro? Chissà.
Sono tanti gli episodi, le storie di uomini, donne, vecchi e bambini. Ho incrociato i loro sguardi, ho visto le loro lacrime nelle quali c’era un sentimento di gioia e di antichi ricordi. Anch’io alcune volte mi sono scoperto a suonare in lacrime, con la gola che mi stringeva per la commozione.

Come siamo oggi. Non è facile raccontare quelle emozioni, bisogna viverle.
Ho suonato in vicoli bui, in piazze famose, nelle chiese, in case di riposo e in ospedali, in castelli, fra le bancarelle dei mercatini natalizi, nei presepi viventi. Ebbene, in ognuno di questi luoghi il suono della mia zampogna ha portato un momento di sana e calda gioia che preannunciava l’arrivo della grande festa che per noi cristiani è il Natale; e tutto questo avviene allo stesso modo da secoli, con quattro pezzi di legno e un vello di capra.

Sì, il mio pensiero è che la zampogna, con il suo suono celestiale, sia uno strumento degno del Paradiso.
Gigi Rizzo, Zampognaro
***

Non c’è epoca dell’anno più gentile e buona, per il mondo, che il Natale e le settimane precedenti.
Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne.

Sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo si inoltrano gli zampognari, discesi da buie misterie montagne, sostano un po’ abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino danno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini le grevi contese d’interesse si placano e lasciano posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo pili grazioso il dono più originale.
Tutti sono presi dall’atmosfera alacre e cordiale che si espande per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo. questo soprattutto – come ci ricorda il suono, firulf, firuli delle zampogne, è ciò che conta.

Racconto di Natale – Italo Calvino
***

Lo Zampognaro
Se comandasse lo zampognaro
Che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?

“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”.

Se comandasse il passero
Che sulla neve zampetta,
sai che cosa direbbe
con la voce che cinguetta?
“Voglio che i bimbi trovino,
quando il lume sarà acceso
tutti i doni sognati
più uno, per buon peso”.

Se comandasse il pastore
Del presepe di cartone
Sai che legge farebbe
Firmandola col lungo bastone?

” Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.

Sapete che cosa vi dico
Io che non comando niente?
Tutte queste belle cose
Accadranno facilmente;

se ci diamo la mano
i miracoli si faranno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno

Gianni Rodari
***

Viene voglia di rimpiangere i borghi maremmani della nostra infanzia, nei quali non si sentiva gracchiare nemmeno la radio; e in cui gli unici suoni echeggianti nei vicinati erano quelli emessi dagli strumenti a fiato che i musicanti della banda paesana dovevano spesso staccare dal chiodo per tenersi in esercizio. In quei borghi, il Natale non era una festa pagana come accade oggi; in occasione della quale d’altro non si parla che di regali da fare e da ricevere, di panettoni e di spumanti, di “pranzoni” e di cenoni consumati al ristorante, dopo aver abbandonato in massa le case.

La festa religiosa più importante dell’anno si viveva in famiglia, dopo aver partecipato alle novene che vedevano sempre sul pulpito un predicatore venuto da lontano: un gran conferenziere che riempiva la chiesa di parole e teneva ferma sul suo volto infervorato l’attenzione degli astanti.

Nei giorni che precedevano la ricorrenza della Natività venivano dall’Abruzzo gli zampognari (i suonatori di zampogna o cornamusa o “pifferazzana”, come noi chiamavamo il loro rustico strumento) e la nenia che diffondevano, fatta di note acute e ruvide, graffiava il silenzio del borgo, facendo immaginare scenari di presepi.
Alfio Cavoli, Addio, Maremma bella
***

I Strofa
Venite zampognari qui a suonare
mentre dai monti imbocchiamo i tratturi,
che il vostro suono ci possa accompagnare,
lungo la transumanza ognor sicuri.

Ritornello:
Mentre suona la zampogna
il pastore la casa sogna
dove lascia figli e moglie,
lunghi mesi senza amor.
La Madonna ci accompagna
nella pena e nel dolor.

II Strofa
Ai pascoli giungiam del Tavoliere,
dopo tanti giorni di aspro cammino,
facciam del pastore il duro mestiere,
con il gregge dividendo il destino.
Rit.
Mentre suona la zampogna

III Strofa
A settembre si va, si torna a maggio,
cuore e mente nelle case lasciamo,
l’un con l’altro ci facciamo coraggio,
e l’ora di tornare insiem sogniamo.
Rit.
Mentre suona la zampogna

Finalino
La Madonna ci accompagni
nella pena e nel dolor.

testo di Mario D’Alessandro e Mario Canci
musica di Mario Canci
***

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne,
ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave:
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,

là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
consce del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole:

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
Giovanni Pascoli, Le ciaramelle
***

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