MARTA * GIANFRANCO BREVETTO

Marta riempiva le giornate trascorse insieme di un’infinità di piccoli episodi. Lei raccontava, raccontava e raccontava. Io l’ascoltavo, e a volte fingevo apertamente di crederle.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Poi quella paura degli uomini che mi aveva confidato, cos’era? Una barriera che lei poneva tra noi? Un trauma inconfessato?
Dallo stato di torpore, nel quale apparentemente si era chiusa, a malapena riusciva a distinguere i suoi occhi. I suoi occhi erano stati luminosi prima che si riempissero di pianto. Sentiva, però, che era proprio da lì che doveva iniziare.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Lei avrebbe voluto essere un’altra, ma aveva paura di diventarlo. Faceva tante cose, ma avrebbe voluto farne altre. Non le faceva: aveva paura di riuscirci. Stava con un uomo sapendo che non era quello giusto. Andava in vacanza convinta che si sarebbe annoiata. Viveva nel dubbio della scelta. Negava se stessa. In fondo stava bene così.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Dubitava. Dubitava in tutto. Evitava di prendere decisioni. Per esempio, se acquistava un oggetto quasi sempre, il giorno dopo, tornava indietro per chiedere di poterlo cambiare. Per decidere dove andare in vacanza, nel dubbio di non scegliere il meglio, procrastinava la decisione fino al limite. E spesso era costretta a rinunciare, dando la colpa al mondo intero.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Per Marta il dolore era un grido muto. Una rabbia senza nessuno da incolpare. Un colpa che sembra apparire in ognuno. Un pensiero che si complica senza riposo.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Marta non era mai sola. Ne sono sicuro.
Dentro di lei, in qualche parte che della sua mente, esisteva un’idea diversa di se stessa. Un’idea che la tormentava e, di notte, le faceva mancare il respiro.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Allora piangeva. Ma le lacrime non la consolavano. E, quando riapriva gli occhi, vi era sempre un
oggetto nuovo che la distraeva. Dimenticava e ricominciava.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Desiderava uno spazio in cui non avrebbe dovuto più dipendere da nessuno per una carezza, non avrebbe dovuto più incrociare altri occhi o altre parole. Passò le mani e le braccia, le sue, intorno alla sua vita e alle sue spalle in un lungo abbraccio. Chiuse gli occhi, mentre gli altri passanti cercavano di evitare quella figura femminile in apparente estasi sul marciapiede. Un momento, un abbraccio.
L’unico, forse, dopo quello di sua madre.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Aveva sempre rinnegato se stessa, ora abbandonava quel sé, rompendo lo specchio nel quale non si era mai riconosciuta.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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